Radiazione del Taranto e "calcio minore". Nuovo capitolo di un’agonia lunga oltre 30 anni
Presidenti che vanno e vengono, fantomatici acquirenti, i disastri di politica e FIGC. Il tutto sulla pelle di tifosi e calciatori
lunedì 10 marzo 2025
10.03
Non è un bel buongiorno per Taranto e per il calcio italiano, quello successivo all'esclusione della squadra della città dei due mari dalla Serie C a campionato in corso. Una decisione che ben presto - sempre nel girone C di Serie C - potrebbe riguardare anche la Turris, e che a livello di calcio professionistico aveva sin qui due soli precedenti: quello del Quartu Sant'Elena nella stagione di Serie C/2 1983/84; e quello dell'Arezzo, escluso dal campionato di Serie C/1 nella stagione 1992/93, guarda caso l'ultima stagione che vide il Taranto militare in Serie B e che culminò con il 19esimo posto e la retrocessione in Serie C.
Era quello il Taranto della coppia d'attacco Bertuccelli-Fresta, una squadra che, pur già aritmeticamente retrocessa, il 10 giugno 1993 si tolse l'effimera soddisfazione di battere per 3-0 in amichevole - con reti di Bertuccelli, Soncin e Piccinno - niente meno che l'Inter vice campione d'Italia che schierava in campo pezzi da novanta come Zenga, Bergomi, Berti, Pancev, Shalimov ecc. Per il Taranto fu, come già detto, una soddisfazione del tutto effimera, non tanto per il fatto di essere già retrocesso, ma per le nubi nerissime che incombevano sul futuro economico della società, che di lì a poco finì con l'essere esclusa dal campionato di Serie C/1 1993/94 per inadempienze finanziarie in compagnia di Ternana, Catania, Messina e Casertana.
Dopo il disastro dell'estate 1993 fu lo storico medico sociale William Uzzi a unire intorno a sé una cordata di imprenditori che permise all'allora Taranto Calcio 1906 di iscriversi alla Serie D e di porre le basi per una difficile risalita verso il calcio che conta.
Vista a posteriori, più che di risalita per il Taranto si può tranquillamente parlare di un talvolta illusorio e talvolta mortificante sali scendi tra Serie C e Serie D che, tra speranze di rinascita e cocenti delusioni, dura da ormai 32 anni.
In questo quasi terzo di secolo, il calcio a Taranto è passato tra tredici presidenti (più Giancarlo Cito in qualità di presidente onorario), altri due fallimenti (compreso quello attuale), e le tre tremende delusioni rappresentate da altrettante promozioni in Serie B mancate in finale playoff rispettivamente contro Catania (2002), Ancona(2008) e Pro Vercelli (2012). Mancate promozioni di cui la più emblematica di cosa è diventato il calcio a Taranto negli ultimi decenni è senz'altro l'ultima, con la squadra dell'allora presidente D'Addario che senza il -7 derivante dalle solite inadempienze economiche avrebbe ottenuto la promozione diretta in Serie B. Salto di categoria poi infrantosi definitivamente dinanzi al muro difensivo della Pro Vercelli, al culmine di una stagione di Lega Pro che rappresentava una delle tante "genialate" partorite dalla FIGC degli ultimi decenni: quella di non tener conto per i due gironi dell'allora Lega Pro della tradizionale ripartizione geografica.
Si perchè se da un lato la proprietà del Taranto Calcio è passata negli anni attraverso le mani un numero imprecisato di apprendisti stregoni, è altrettanto vero che a partire da metà anni Novanta, dalla Serie B in giù, di "casi Taranto" ce ne saranno stati decine e decine: segno di un calcio evidentemente non più sostenibile a certi livelli dal punto di vista economico; ma anche, se non soprattutto, segno inequivocabile di una Federazione Italiana Giuoco Calcio miope, autoreferenziale, e dedita più a giochi di potere, di poltrone e di palazzo che alla salute dell'intero movimento.
Una FIGC che ciancia di "calcio is back" mentre la Nazionale - che nel frattempo ha saltato i mondiali 2018 e 2022 (dopo per altro le magrissime figure di quelli del 2010 e 2014) - rischia seriamente di fare la fine dell'Ungheria, passata dagli splendori di Puskas, del 6-3 di Wembley, e della "Aranycsapat" (Squadra d'oro) degli anni Cinquanta (e in parte Sessanta), alle miserie di una nazionale che manca dai mondiali da quasi quarant'anni.
A questo punto il lettore si chiederà: cosa c'entra la radiazione del Taranto, e di altre squadre in passato, con le recenti sventure della Nazionale? Basta fare due nomi: Roberto Baggio e Gianfranco Zola. Giocatori pescati al tempo proprio in Serie C da Lanerossi Vicenza e Torres, e che come tanti altri partiti dal "calcio minore" hanno fatto la fortuna del calcio italiano, a partire da quella economica dei club che li hanno lanciati.
Anche da Taranto naturalmente sono passati nomi poi divenuti illustri. Si pensi ad esempio a Romeo Benetti, Giulio Zignoli, Franco Selvaggi e Pietro Maiellaro su tutti. Ma anche Franco Campidonico, Vincenzo Montefusco, Sergio Giovannone, Giampaolo Spagnulo, Totò De Vitis, e tanti tanti altri andati a far le fortune di squadre di Serie A, e le fortune del Taranto dal punto di vista economico.
Senza poi contare gli importanti incassi di quelli che una volta erano i gironi di Coppa Italia per le squadre di Serie B, e per quelle di Serie C che avevano la fortuna e la bravura di arrivare a partecipare al torneo, con la quasi certezza di poter ospitare sul proprio campo magari qualche big di Serie A.
Perchè si fa presto a parlare di Tamworth-Tottenham di FA Cup e della bellezza della competizione calcistica più antica al mondo, quando la realtà ci narra di certi match di Coppa Italia - con le big di Serie A che partono direttamente dagli ottavi giocando in casa (altro che sorteggio libero in stile FA Cup) - con quasi più giornalisti accreditati che spettatori paganti.
In tutto questo desolante baillamme poi ci si meraviglia del "caso Taranto", del "Caso Turris" e del diluvio di penalizzazioni piovute in settimana sulla terza serie nazionale?
E poi sulle pay TV e sui palinsesti calcistici: a cosa serve la diretta di una partita del Taranto (ma anche di Team Altamura, Monopoli, Foggia e tante altre), quando poi in contemporanea, magari la stessa pay TV trasmette allo stesso orario un big match di Serie A?
Davvero c'è bisogno di un "Premio Nobel per la Fisica" per pensare a una differenziazione degli orari delle partite da una categoria all'altra, in modo da dare lo giusto spazio televisivo a tutti, e magari alla riscoperta della partita della squadra della propria città vista allo stadio? O forse, più realisticamente, siamo noi che il cosiddetto "calcio minore" lo raccontiamo ogni domenica ad essere degli illusi.
Tornando al "caso Taranto", avendo già narrato in precedenza del triste ping pong in merito alla questione stadio e ai Giochi del Mediterraneo 2026, tra l'ormai ex patron Massimo Giove e l'ormai ex sindaco del capoluogo ionico Rinaldo Melucci, in tutta questa situazione - oltre che naturalmente i tifosi tarantini, a cui al di là dei colori va il nostro augurio di una pronta risalita - chi ci va di mezzo per davvero sono i calciatori. Calciatori che, a Taranto come purtroppo in tante altre piazze, non vedono lo stipendio da mesi. Perchè se è vero non stiamo parlando certo dei cassintegrati dell'ex ILVA, è altrettanto vero che la carriera di un calciatore termina massimo a quarant'anni, e che un conto è appendere le scarpe al chiodo da calciatore di Serie A con un ingaggio netto medio poco sotto i due milioni di euro. Ben altro film è ben altra storia è invece quella dalla Serie C in giù (compresa quasi mezza Serie B), dove si è già fortunati a percepirlo l'ingaggio. Il tutto senza poi contare la buffonata della regola degli under (ce ne fosse uno dal 1993/1994 che ha poi fatto, non una grande, ma semplicemente una buona carriera) nei campionati dilettantistici.
Ci si risparmino quindi frasi del tipo: "sono dei privilegiati"; "guadagnano milioni". Perché mai come in questo caso, a questi ragazzi che senza il becco di un quattrino hanno sudato la maglia rossoblu fino a che glielo hanno concesso, va tributato il giusto rispetto.
Era quello il Taranto della coppia d'attacco Bertuccelli-Fresta, una squadra che, pur già aritmeticamente retrocessa, il 10 giugno 1993 si tolse l'effimera soddisfazione di battere per 3-0 in amichevole - con reti di Bertuccelli, Soncin e Piccinno - niente meno che l'Inter vice campione d'Italia che schierava in campo pezzi da novanta come Zenga, Bergomi, Berti, Pancev, Shalimov ecc. Per il Taranto fu, come già detto, una soddisfazione del tutto effimera, non tanto per il fatto di essere già retrocesso, ma per le nubi nerissime che incombevano sul futuro economico della società, che di lì a poco finì con l'essere esclusa dal campionato di Serie C/1 1993/94 per inadempienze finanziarie in compagnia di Ternana, Catania, Messina e Casertana.
Dopo il disastro dell'estate 1993 fu lo storico medico sociale William Uzzi a unire intorno a sé una cordata di imprenditori che permise all'allora Taranto Calcio 1906 di iscriversi alla Serie D e di porre le basi per una difficile risalita verso il calcio che conta.
Vista a posteriori, più che di risalita per il Taranto si può tranquillamente parlare di un talvolta illusorio e talvolta mortificante sali scendi tra Serie C e Serie D che, tra speranze di rinascita e cocenti delusioni, dura da ormai 32 anni.
In questo quasi terzo di secolo, il calcio a Taranto è passato tra tredici presidenti (più Giancarlo Cito in qualità di presidente onorario), altri due fallimenti (compreso quello attuale), e le tre tremende delusioni rappresentate da altrettante promozioni in Serie B mancate in finale playoff rispettivamente contro Catania (2002), Ancona(2008) e Pro Vercelli (2012). Mancate promozioni di cui la più emblematica di cosa è diventato il calcio a Taranto negli ultimi decenni è senz'altro l'ultima, con la squadra dell'allora presidente D'Addario che senza il -7 derivante dalle solite inadempienze economiche avrebbe ottenuto la promozione diretta in Serie B. Salto di categoria poi infrantosi definitivamente dinanzi al muro difensivo della Pro Vercelli, al culmine di una stagione di Lega Pro che rappresentava una delle tante "genialate" partorite dalla FIGC degli ultimi decenni: quella di non tener conto per i due gironi dell'allora Lega Pro della tradizionale ripartizione geografica.
Si perchè se da un lato la proprietà del Taranto Calcio è passata negli anni attraverso le mani un numero imprecisato di apprendisti stregoni, è altrettanto vero che a partire da metà anni Novanta, dalla Serie B in giù, di "casi Taranto" ce ne saranno stati decine e decine: segno di un calcio evidentemente non più sostenibile a certi livelli dal punto di vista economico; ma anche, se non soprattutto, segno inequivocabile di una Federazione Italiana Giuoco Calcio miope, autoreferenziale, e dedita più a giochi di potere, di poltrone e di palazzo che alla salute dell'intero movimento.
Una FIGC che ciancia di "calcio is back" mentre la Nazionale - che nel frattempo ha saltato i mondiali 2018 e 2022 (dopo per altro le magrissime figure di quelli del 2010 e 2014) - rischia seriamente di fare la fine dell'Ungheria, passata dagli splendori di Puskas, del 6-3 di Wembley, e della "Aranycsapat" (Squadra d'oro) degli anni Cinquanta (e in parte Sessanta), alle miserie di una nazionale che manca dai mondiali da quasi quarant'anni.
A questo punto il lettore si chiederà: cosa c'entra la radiazione del Taranto, e di altre squadre in passato, con le recenti sventure della Nazionale? Basta fare due nomi: Roberto Baggio e Gianfranco Zola. Giocatori pescati al tempo proprio in Serie C da Lanerossi Vicenza e Torres, e che come tanti altri partiti dal "calcio minore" hanno fatto la fortuna del calcio italiano, a partire da quella economica dei club che li hanno lanciati.
Anche da Taranto naturalmente sono passati nomi poi divenuti illustri. Si pensi ad esempio a Romeo Benetti, Giulio Zignoli, Franco Selvaggi e Pietro Maiellaro su tutti. Ma anche Franco Campidonico, Vincenzo Montefusco, Sergio Giovannone, Giampaolo Spagnulo, Totò De Vitis, e tanti tanti altri andati a far le fortune di squadre di Serie A, e le fortune del Taranto dal punto di vista economico.
Senza poi contare gli importanti incassi di quelli che una volta erano i gironi di Coppa Italia per le squadre di Serie B, e per quelle di Serie C che avevano la fortuna e la bravura di arrivare a partecipare al torneo, con la quasi certezza di poter ospitare sul proprio campo magari qualche big di Serie A.
Perchè si fa presto a parlare di Tamworth-Tottenham di FA Cup e della bellezza della competizione calcistica più antica al mondo, quando la realtà ci narra di certi match di Coppa Italia - con le big di Serie A che partono direttamente dagli ottavi giocando in casa (altro che sorteggio libero in stile FA Cup) - con quasi più giornalisti accreditati che spettatori paganti.
In tutto questo desolante baillamme poi ci si meraviglia del "caso Taranto", del "Caso Turris" e del diluvio di penalizzazioni piovute in settimana sulla terza serie nazionale?
E poi sulle pay TV e sui palinsesti calcistici: a cosa serve la diretta di una partita del Taranto (ma anche di Team Altamura, Monopoli, Foggia e tante altre), quando poi in contemporanea, magari la stessa pay TV trasmette allo stesso orario un big match di Serie A?
Davvero c'è bisogno di un "Premio Nobel per la Fisica" per pensare a una differenziazione degli orari delle partite da una categoria all'altra, in modo da dare lo giusto spazio televisivo a tutti, e magari alla riscoperta della partita della squadra della propria città vista allo stadio? O forse, più realisticamente, siamo noi che il cosiddetto "calcio minore" lo raccontiamo ogni domenica ad essere degli illusi.
Tornando al "caso Taranto", avendo già narrato in precedenza del triste ping pong in merito alla questione stadio e ai Giochi del Mediterraneo 2026, tra l'ormai ex patron Massimo Giove e l'ormai ex sindaco del capoluogo ionico Rinaldo Melucci, in tutta questa situazione - oltre che naturalmente i tifosi tarantini, a cui al di là dei colori va il nostro augurio di una pronta risalita - chi ci va di mezzo per davvero sono i calciatori. Calciatori che, a Taranto come purtroppo in tante altre piazze, non vedono lo stipendio da mesi. Perchè se è vero non stiamo parlando certo dei cassintegrati dell'ex ILVA, è altrettanto vero che la carriera di un calciatore termina massimo a quarant'anni, e che un conto è appendere le scarpe al chiodo da calciatore di Serie A con un ingaggio netto medio poco sotto i due milioni di euro. Ben altro film è ben altra storia è invece quella dalla Serie C in giù (compresa quasi mezza Serie B), dove si è già fortunati a percepirlo l'ingaggio. Il tutto senza poi contare la buffonata della regola degli under (ce ne fosse uno dal 1993/1994 che ha poi fatto, non una grande, ma semplicemente una buona carriera) nei campionati dilettantistici.
Ci si risparmino quindi frasi del tipo: "sono dei privilegiati"; "guadagnano milioni". Perché mai come in questo caso, a questi ragazzi che senza il becco di un quattrino hanno sudato la maglia rossoblu fino a che glielo hanno concesso, va tributato il giusto rispetto.