Eventi e cultura
L'attore pugliese Nico Ayroldi porta in teatro a Roma la storia di Peppino Impastato
Partito da Molfetta nel 2014, si sta affermando nella capitale
Puglia - lunedì 10 ottobre 2022
1.00
La storia di Nicolò Ayroldi, molfettese classe 1994, è quella di chi ha deciso anni fa di lasciare la sua Puglia, come tanti suoi coetanei, per inseguire un sogno: diventare un attore di teatro. Da qui la scelta di trasferirsi a Roma, nella speranza di formarsi artisticamente e iniziare un percorso con tanti ostacoli.
Nel 2014 il suo grande sogno era quello di diventare un attore di teatro, eppure da ragazzino il suo palcoscenico ideale era quello del rettangolo verde: il calcio era la sua passione e fino a un certo punto ha anche assaporato la possibilità di poter davvero sfondare nel tanto ambito mondo del pallone. Nella stagione 2012-13 ha militato anche nel Bisceglie in Serie D, momento più alto di una carriera interrotta troppo presto da problemi fisici: «Quando mi è stato detto che non avrei potuto continuare a giocare ho affrontato una fase molto delicata, perché mi sentivo privato di un qualcosa che consideravo fondamentale per me. Ho dovuto appendere gli scarpini al chiodo, come si dice in questi casi».
In questi otto anni si è fatto strada in quel grande marasma della capitale, luogo fervente di cultura e ricco di occasioni da cogliere per chi vuole realizzarsi dal punto di vista artistico: un nuovo capitolo del suo percorso di crescita prenderà il via domani. Infatti, dall'11 al 16 ottobre il molfettese sarà in scena con un monologo da lui scritto, diretto e interpretato sulla storia di Peppino Impastato, dal titolo "Sono una bomba". «Si tratta di uno spettacolo nato all'inizio del 2021 - racconta - perché nella seconda ondata della pandemia, non avendo uno spazio dove provare, ho iniziato a buttar giù delle idee drammaturgiche sul tema. La pièce è frutto di un lavoro in primis giornalistico, dato che non si parla di una figura immaginifica ma di una persona realmente esistita e non potevo permettermi di sbagliare informazioni».
«Desideravo conoscere più cose possibili della sua vita e così, attraverso una ricerca accurata sulla storia della mafia e sui temi che ne derivano, sono riuscito ad avere una visione più critica sull'argomento per poi poter abbandonarmi ad una interpretazione più personale. Ho concluso il mio percorso drammaturgico con un viaggio a Cinisi dove ho incontrato prima i suoi famigliari, a Casa Memoria Impastato, e poi Salvo Vitale, compagno di mille racconti su Radio AUT. Giovanni e la figlia Luisa mi hanno accolto con calore, facendomi visitare la casa dove la famiglia Impastato ha vissuto. Fuori ci sono le 100 mattonelle che separano la casa di Peppino da quella del mandante del suo omicidio, Tano Badalamenti, i famosi 100 passi. La cosa più strana è stata l'ultima mattonella, appena fuori alla casa di Tano. La mattonella raffigurava un Duomo a me familiare. Era il Duomo di Molfetta, la mia città natale, con una dedica alla memoria di Gianni Carnicella, sindaco assassinato dalla mafia il 7 luglio 1992».
«Mi piacerebbe molto ritornare nella mia Puglia, dove tanti luoghi di cultura e formazione teatrale sono nati in questo periodo di mia assenza - conclude - e quindi la speranza non può che essere quella di poter, un giorno, riportare a casa ciò che sto apprendendo a Roma e negli altri luoghi che hanno stanno caratterizzando la mia carriera».
Nel 2014 il suo grande sogno era quello di diventare un attore di teatro, eppure da ragazzino il suo palcoscenico ideale era quello del rettangolo verde: il calcio era la sua passione e fino a un certo punto ha anche assaporato la possibilità di poter davvero sfondare nel tanto ambito mondo del pallone. Nella stagione 2012-13 ha militato anche nel Bisceglie in Serie D, momento più alto di una carriera interrotta troppo presto da problemi fisici: «Quando mi è stato detto che non avrei potuto continuare a giocare ho affrontato una fase molto delicata, perché mi sentivo privato di un qualcosa che consideravo fondamentale per me. Ho dovuto appendere gli scarpini al chiodo, come si dice in questi casi».
In questi otto anni si è fatto strada in quel grande marasma della capitale, luogo fervente di cultura e ricco di occasioni da cogliere per chi vuole realizzarsi dal punto di vista artistico: un nuovo capitolo del suo percorso di crescita prenderà il via domani. Infatti, dall'11 al 16 ottobre il molfettese sarà in scena con un monologo da lui scritto, diretto e interpretato sulla storia di Peppino Impastato, dal titolo "Sono una bomba". «Si tratta di uno spettacolo nato all'inizio del 2021 - racconta - perché nella seconda ondata della pandemia, non avendo uno spazio dove provare, ho iniziato a buttar giù delle idee drammaturgiche sul tema. La pièce è frutto di un lavoro in primis giornalistico, dato che non si parla di una figura immaginifica ma di una persona realmente esistita e non potevo permettermi di sbagliare informazioni».
«Desideravo conoscere più cose possibili della sua vita e così, attraverso una ricerca accurata sulla storia della mafia e sui temi che ne derivano, sono riuscito ad avere una visione più critica sull'argomento per poi poter abbandonarmi ad una interpretazione più personale. Ho concluso il mio percorso drammaturgico con un viaggio a Cinisi dove ho incontrato prima i suoi famigliari, a Casa Memoria Impastato, e poi Salvo Vitale, compagno di mille racconti su Radio AUT. Giovanni e la figlia Luisa mi hanno accolto con calore, facendomi visitare la casa dove la famiglia Impastato ha vissuto. Fuori ci sono le 100 mattonelle che separano la casa di Peppino da quella del mandante del suo omicidio, Tano Badalamenti, i famosi 100 passi. La cosa più strana è stata l'ultima mattonella, appena fuori alla casa di Tano. La mattonella raffigurava un Duomo a me familiare. Era il Duomo di Molfetta, la mia città natale, con una dedica alla memoria di Gianni Carnicella, sindaco assassinato dalla mafia il 7 luglio 1992».
«Mi piacerebbe molto ritornare nella mia Puglia, dove tanti luoghi di cultura e formazione teatrale sono nati in questo periodo di mia assenza - conclude - e quindi la speranza non può che essere quella di poter, un giorno, riportare a casa ciò che sto apprendendo a Roma e negli altri luoghi che hanno stanno caratterizzando la mia carriera».