Francesco Bia
Francesco Bia
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Un ponte tra la Puglia e la Biolerussia, il papà dell'anno Francesco Bia racconta la sua storia

Nella giornata di ieri è stato insignito dell'onorificenza in una cerimonia a Roma, in oltre 20 anni ha aiutato più di 12mila bambini

In oltre 20 anni ha permesso a più di 12mila bambini bielorussi di credere che un'altra vita è possibile. Molti di loro sono stati anche adottati, grazie al supporto dell'associazione "Gruppo accoglienza bambini bielorussi" di cui è presidente. Lui è Francesco Bia, originario di Modugno, ex calciatore, e ieri pomeriggio a Roma, in occasione della Festa del Papà, in piazza San Giovanni, riceverà il riconoscimento come "Papà dell'anno" durante il Daddy's pride.

In tanti anni ha aiutato tanti bambini e tante famiglie, si aspettava di ricevere questo premio?

Assolutamente no, è stata una sorpresa, anche se è il frutto di un lavoro svolto in silenzio da 26 anni, con trasparenza. Probabilmente, qualcuno ha voluto rendere onore a tutto quello che abbiamo fatto in questi anni.

Come è nata l'associazione di cui è presidente? In che modo avete iniziato questo lavoro?

Abbiamo avuto all'epoca la possibilità di ospitare una minore che veniva che l'anno precedente era stata ospitata a Modugno presso un istituto religioso. Non potendo loro continuare, insieme ad un gruppo di amici ci siamo informati al riguardo, e abbiamo iniziato questo percorso con circa 7-8 bambini, da lì poi non ci siamo più fermati. Tutto questo è quindi entrato prepotentemente nella nostra vita, nelle nostre idee, e abbiamo deciso di portare avanti questa missione nostra e di tante famiglie che volevano aiutare questi minori che vivevano in condizioni disumane. E soprattutto perché i bambini venivano in Italia per un progetto importante mirato al risanamento non solo fisico.

In questi anni avete supportato oltre 12mila bambini. Che cosa può dirci?

Sono arrivati tantissimi bambini, è vero. Abbiamo lavorato in silenzio e con la massima trasparenza, senza farci alcuna pubblicità, ma solo con il passaparola tra le famiglie. Abbiamo coinvolto non solo famiglie pugliesi, ma anche di altre regioni. In questo modo si è creata una organizzazione fatta di molti validi collaboratori, e che ci ha fatto raggiungere questi numeri a nostra insaputa. Ogni volta che partiva un progetto, essendo anche la procedura burocratica lenta e macchinosa, ne partivano altri in contemporanea. Sono cambiati gli scenari in questi anni, ma abbiamo voluto sempre continuare a portare avanti questa idea, insieme ai miei collaboratori, con grande passione.

Tra i tanti bambini che avete aiutato c'è qualche storia particolare o tutti hanno avuto storie simili?

Ognuno ha la propria storia, molti (circa 600) sono stati adottati. Questo ha permesso loro di avere non solo continuità, ma di raggiungere il traguardo di restare nel nostro Paese.

Ora qual è il vostro obiettivo? Andrete avanti come avete fatto finora?

È necessario proseguire, è un obbligo che abbiamo verso questi ragazzi. Prima la pandemia, e ora la politica internazionale hanno bloccato la progettualità. Il problema è che ci sono state e ci sono situazioni in cui i bambini sono inseriti in un ricatto di politica internazionale, e nonostante tutto non siamo riusciti a sbloccare questa situazione. Ora ci sono dei segnali incoraggianti, è chiaro che la guerra la fa da padrona, e in qualsiasi momento incontri già organizzati possono essere cancellati all'ultimo momento.
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