Attualità
Vince una donna di Barletta: la battaglia legale con TIM per le spese telefoniche
La Cassazione decide: l’operatore telefonico non può chiedere soldi per la disattivazione dell’utenza
Puglia - mercoledì 30 marzo 2022
15.08
Tutto è iniziato da una cifra: 35,18 euro. Una inezia rispetto alla fatica che ha dovuto sopportare una donna barlettana che, dopo anni di battaglie legali, ha vinto in tribunale. La Cassazione infatti ha dichiarato che la mera indicazione delle cd. spese di recesso nelle "Condizioni generali di contratto" pubblicate sul sito dell'operatore, non può ritenersi vincolante per il cliente - dichiarato nella ordinanza n. 10039 di oggi - e definendo inammissibile il ricorso di Tim Spa.
Dopo «Il Tribunale aveva rigettato l'appello, in quanto "nessuna clausola contrattuale sottoscritta dall'appellata autorizzava Telecom a riscuotere detta somma. A questo punto Tim ha proposto ricorso in Cassazione affermando, tra l'altro, che non trattandosi di "clausole vessatorie" non era richiesta una specifica approvazione scritta, mentre l'aderente aveva il dovere di informarsi anche considerata "la ampia diffusione delle condizioni generali di contratto su tutto il territorio nazionale e la loro agevole consultabilità tramite il sito istituzionale. Né del resto, proseguiva Tim, il contratto di telefonia è sottoposto alle stringenti regole vigenti, per esempio, per i contratti bancari e finanziari o per il credito al consumo» si legge sul Il Sole 24 Ore..
«Per la VI Sezione civile, tuttavia, i motivi di ricorso non superano il vaglio di ammissibilità, non avendo Tim neppure riprodotto in giudizio le "Condizioni generali di contratto"»
La società quindi, è stata condannata «alle spese di lite e al raddoppio del contributo unificato considerato che Tim ha esercitato il suo diritto di azione "in termini che si connotano per antigiuridicità, giacché ha prospettato assunti difensivi palesemente eccentrici e nuovi rispetto all'apparato argomentativo e motivazionale della sentenza di cui ha chiesto la cassazione, confezionando un ricorso, la cui inammissibilità non poteva che risultare manifesta sotto i plurimi profili individuati"» conclude Il Sole 24 ore.
Precedentemente, già il Giudice di Pace di Barletta e poi il Tribunale di Trani (nel 2019) avevano sentenziato a favore dell'utente, condannando «Tim a restituire alla cliente la somma di 35,18 euro pagata per la cessazione» si legge su Il Sole 24 Ore.Dopo «Il Tribunale aveva rigettato l'appello, in quanto "nessuna clausola contrattuale sottoscritta dall'appellata autorizzava Telecom a riscuotere detta somma. A questo punto Tim ha proposto ricorso in Cassazione affermando, tra l'altro, che non trattandosi di "clausole vessatorie" non era richiesta una specifica approvazione scritta, mentre l'aderente aveva il dovere di informarsi anche considerata "la ampia diffusione delle condizioni generali di contratto su tutto il territorio nazionale e la loro agevole consultabilità tramite il sito istituzionale. Né del resto, proseguiva Tim, il contratto di telefonia è sottoposto alle stringenti regole vigenti, per esempio, per i contratti bancari e finanziari o per il credito al consumo» si legge sul Il Sole 24 Ore..
«Per la VI Sezione civile, tuttavia, i motivi di ricorso non superano il vaglio di ammissibilità, non avendo Tim neppure riprodotto in giudizio le "Condizioni generali di contratto"»
La società quindi, è stata condannata «alle spese di lite e al raddoppio del contributo unificato considerato che Tim ha esercitato il suo diritto di azione "in termini che si connotano per antigiuridicità, giacché ha prospettato assunti difensivi palesemente eccentrici e nuovi rispetto all'apparato argomentativo e motivazionale della sentenza di cui ha chiesto la cassazione, confezionando un ricorso, la cui inammissibilità non poteva che risultare manifesta sotto i plurimi profili individuati"» conclude Il Sole 24 ore.